Meet the Editor
La traduzione vista da un redattore (I parte)
Mi è stato gentilmente richiesto da Marcella di parlare dei rapporti che ho allacciato con varie figure di traduttori nel corso delle mie esperienze di redattore.
Mi è subito venuto in mente, tuttavia, che più che di traduttori avrei potuto parlare di traduzioni, in una boutade d'esordio che tra le righe nasconde già un disagio.
La prima puntata di questo lungo post finirà dunque con il vertere maggiormente sulle realtà al di sopra di queste due figure, realtà concrete ma a sua volta rappresentazioni di un meccanismo malfunzionante e vizioso.
La seconda puntata cercherà invece di essere più attinente alla proposta di Marcella.
Per la maggior parte dei lavori di redazione che ho svolto, quelli nello specifico che hanno previsto la sistemazione in una lingua italiana più fluente di testi tradotti dall'inglese, specie tecnici/scientifici (scolastici o universitari), mi venivano inviati i file su cui lavorare, e che a mia volta avrei dovuto riconsegnare all'azienda cliente. Questa, a sua volta, risolveva gli eventuali dubbi con il traduttore e/o ripassava il materiale a un revisore.
Ma l'azienda, si sarà forse intuito, è una cosa orrenda [Quinto Rigo, cit.].
L'anno scorso sono stato alle prese con un lunghissimo testo medico. Per velocizzare le lavorazioni, le sue parti, i suoi capitoli, sono stati divisi fra più traduttori. Alcune di queste parti mi sono giunte in condizioni a dire poco pietose: non solo per l'estremo ricalco delle strutture sintattiche e periodiche dell'inglese nell'italiano (che ok, ci può anche stare, sebbene fino a un certo punto, come si dice), non tanto per la smaccata letteralità con cui venivano resi i termini medici e pure altri di uso comune, ma, per cominciare, per l'insieme di queste due cose a livelli semiparossistici, e inoltre per il vero e proprio stravolgimento di senso in frasi e concetti appartenenti anche a un contesto non strettamente medico. (Ho le prove di quanto affermo. Sic!)
Alla mia richiesta di chiarimenti, la pr con un odiosissimo candore paraculo mi spiegò e mi rassicurò: ah, ciò avviene perché alcune parti non sono state tradotte da medici [WTF?], ma non ti *preoccupare*, perché dopo verrà rivisto tutto da un revisore che è medico [ma intanto io ho comunque lavorato il triplo di quanto non faccia normalmente, e dietro lo stesso compenso; e poi, non credo mi riguardi la *preoccupazione* per i vostri rapporti con i vostri clienti, ossia con chi vi ha commissionato il lavoro; oddio, mi riguarderebbe in un mondo ideale e virtuoso, di cui tuttavia voi siete la negazione e la nemesi].
In questo caso, a mio avviso, non potevo fare molto altro. Non mi era stato infatti concesso, come al solito (e come usa per lavori di questo tipo; almeno in quell’azienda), di relazionarmi con il traduttore, sebbene a dire il vero non mi sia neanche passato per la mente di richiederlo, anche per il fatto che la situazione mi appariva drastica: si sarebbe dovuto discutere quasi su ogni frase, e non so, ho avuto la presunzione di pensare che al traduttore non importasse molto, visto come aveva trattato fino a quel momento la materia. Ma magari sbagliavo.
A non funzionare, comunque, è stata la scellerata politica aziendale di assoldare traduttori penosi (ho pensato addirittura a un robottino Google :)), perseguendo ovviamente l'obiettivo di spendere meno soldi possibili e far compiere il grosso del lavoro al redattore, il quale prende meno e resta comunque l'anello debole e più sfruttabile (come dice anche Ilaria, tra altre cose, qua , e qua).
[Fine della parte con annessa denuncia dello stato malato delle cose.]
Carlo
aka lo spettatore di provincia
Mi è stato gentilmente richiesto da Marcella di parlare dei rapporti che ho allacciato con varie figure di traduttori nel corso delle mie esperienze di redattore.
Mi è subito venuto in mente, tuttavia, che più che di traduttori avrei potuto parlare di traduzioni, in una boutade d'esordio che tra le righe nasconde già un disagio.
La prima puntata di questo lungo post finirà dunque con il vertere maggiormente sulle realtà al di sopra di queste due figure, realtà concrete ma a sua volta rappresentazioni di un meccanismo malfunzionante e vizioso.
La seconda puntata cercherà invece di essere più attinente alla proposta di Marcella.
Per la maggior parte dei lavori di redazione che ho svolto, quelli nello specifico che hanno previsto la sistemazione in una lingua italiana più fluente di testi tradotti dall'inglese, specie tecnici/scientifici (scolastici o universitari), mi venivano inviati i file su cui lavorare, e che a mia volta avrei dovuto riconsegnare all'azienda cliente. Questa, a sua volta, risolveva gli eventuali dubbi con il traduttore e/o ripassava il materiale a un revisore.
Ma l'azienda, si sarà forse intuito, è una cosa orrenda [Quinto Rigo, cit.].
L'anno scorso sono stato alle prese con un lunghissimo testo medico. Per velocizzare le lavorazioni, le sue parti, i suoi capitoli, sono stati divisi fra più traduttori. Alcune di queste parti mi sono giunte in condizioni a dire poco pietose: non solo per l'estremo ricalco delle strutture sintattiche e periodiche dell'inglese nell'italiano (che ok, ci può anche stare, sebbene fino a un certo punto, come si dice), non tanto per la smaccata letteralità con cui venivano resi i termini medici e pure altri di uso comune, ma, per cominciare, per l'insieme di queste due cose a livelli semiparossistici, e inoltre per il vero e proprio stravolgimento di senso in frasi e concetti appartenenti anche a un contesto non strettamente medico. (Ho le prove di quanto affermo. Sic!)
Alla mia richiesta di chiarimenti, la pr con un odiosissimo candore paraculo mi spiegò e mi rassicurò: ah, ciò avviene perché alcune parti non sono state tradotte da medici [WTF?], ma non ti *preoccupare*, perché dopo verrà rivisto tutto da un revisore che è medico [ma intanto io ho comunque lavorato il triplo di quanto non faccia normalmente, e dietro lo stesso compenso; e poi, non credo mi riguardi la *preoccupazione* per i vostri rapporti con i vostri clienti, ossia con chi vi ha commissionato il lavoro; oddio, mi riguarderebbe in un mondo ideale e virtuoso, di cui tuttavia voi siete la negazione e la nemesi].
In questo caso, a mio avviso, non potevo fare molto altro. Non mi era stato infatti concesso, come al solito (e come usa per lavori di questo tipo; almeno in quell’azienda), di relazionarmi con il traduttore, sebbene a dire il vero non mi sia neanche passato per la mente di richiederlo, anche per il fatto che la situazione mi appariva drastica: si sarebbe dovuto discutere quasi su ogni frase, e non so, ho avuto la presunzione di pensare che al traduttore non importasse molto, visto come aveva trattato fino a quel momento la materia. Ma magari sbagliavo.
A non funzionare, comunque, è stata la scellerata politica aziendale di assoldare traduttori penosi (ho pensato addirittura a un robottino Google :)), perseguendo ovviamente l'obiettivo di spendere meno soldi possibili e far compiere il grosso del lavoro al redattore, il quale prende meno e resta comunque l'anello debole e più sfruttabile (come dice anche Ilaria, tra altre cose, qua , e qua).
[Fine della parte con annessa denuncia dello stato malato delle cose.]
Carlo
aka lo spettatore di provincia
Commenti
Ma mi sarebbe piaciuto maggiormente un commento sul merito.
L'unica vera ragione morale dello scrivere è una fondamentale accuratezza d'espressione.
Ciao!
Marina
Se poi ti basi su un esempio per generalizzare sulla fiducia, posso assicurarti che sei in grave errore, ed è una generalizzazione ignorante. Nel senso che io non snobbo affatto i traduttori, tutt'altro, ma visto che conosco a mia volta l'inglese e lavoro con il testo in lingua originale sott'occhio, posso rendermi conto se un traduttore lavori bene o male.
Complimenti per la frase finale a effetto, ma se vuoi continuare a trolleggiare, sappi che questa è l'ultima risposta che ti dedico.
Usando a mia volta una frase a effetto, direi che nessuno è perfetto, ma alcuni lo sono molto meno.
Ciao a te!
Poi ho risposto lungamente alla tua seconda osservazione. Non mi pare che non ne sia stato capace.
Ora, o tu sei un redattore che pensa di avere qualcosa da insegnare, e allora se me lo dimostrassi e fossi meno gratuitamente odioso, io sarei anche lieto di starti a sentire; oppure sei solo una persona che ha voglia di rompere le palle, e quanto scritto nei commenti precedenti lo sta a dimostrare.
Quindi, rientreresti nella casistica del troll.
(E non saresti neanche troppo abile, in quanto tale.)