Meet the Editor (seconda parte)
L'altra esperienza che voglio ricordare riguarda un caso completamente differente da quello visto nella prima puntata.
Questa volta ho lavorato fianco a fianco con i traduttori, peraltro per un corso a livello elementare di lingue.
Uno era capace, attento, gentile, pronto alla collaborazione e al confronto, a eventuali approfondimenti nella ricerca quando sorgevano dubbi; l'altra era l'esatto opposto (sic e ahimè): la prima frase che mi rivolse fu: la "e" di "perché" è aperta, l'accento è grave, e io osavo forse contraddirla? Si era laureata in linguistica! E via così di amenità in amenità: alla resa dei conti, ho tradotto io parte del corso (aveva reso alcuni passaggi e frasi con modi di dire bolognesi!) e i due terzi buoni del dizionario generale e del dizionario gastronomico finali. Senza menzionare la fonetica, a proposito della quale avrebbe scritto che il "th" si pronuncia con la "z" sonora, alla romagnola.
Al di là di questi siparietti, che una volta di più parlano, in maniera indiretta ma chiarissima, di un certo approccio aziendale al lavoro (e alle retribuzioni), ciò che mi preme notare è come, in fondo, un rapporto compartecipe tra me e i traduttori si sia dimostrato più proficuo in vista del risultato finale per l'azienda, oltre che più arricchente per la mia persona (e direi anche per quella del traduttore).
Avere nella scrivania vicina un referente cui chiedere il perché della resa di una particolare espressione in un modo piuttosto che in un altro, secondo magari motivazioni strettamente attinenti a una cultura differente da quella italiana, o cui rispondere per eventuali dubbi sugli usi più corretti della nostra lingua, ha fornito senza dubbio sproni e soddisfazioni superiori nella conduzione del lavoro.
La base di partenza, di certo, deve consistere in una buona preparazione di base; e non sarò certo il primo ad affermare che spesso un atteggiamento umile, aperto e collaborativo contraddistingue una cultura e una umanità migliori rispetto ai comportamenti chiusi, spocchiosi e arroganti.
Sebbene quindi in questi due post abbia presentato due casi in qualche modo particolari, credo siano inferibili quelli che per me costituiscono l'atteggiamento e i rapporti ideali che si dovrebbero creare e tenere in lavori di collaborazione tra un traduttore e un redattore.
Ferma restando la presenza di differenze ovvie tra testi tecnici/scientifici (per i quali le traduzioni di determinati vocaboli sono fissate, ma nei quali l'utilizzo, per esempio, di alcuni sinonimi piuttosto che di altri potrebbe essere discusso insieme), e testi saggistici o addirittura narrativi (sebbene non ne abbia specificamente parlato), per le cui caratteristiche esistono tecniche (di tipo anche narratologico) che presupporrebbero un confronto più serrato.*
Per concludere, mi auguro che da parte di traduttori e redattori coscienti e di buon livello (umano ancora prima che professionale) si cerchi questo rapporto di confronto, per provare anche a evadere dai meccanismi separativi dettati dalle aziende clienti (divide et impera!).
Basterebbe una semplice richiesta: posso parlare direttamente con il traduttore? Oppure: posso dare qualche indicazione al redattore, di persona?
Dopodiché, occorre essere intellettualmente onesti, nonché diretti nei rapporti; parlare sempre chiaramente, non per allusioni, e non demandare eventuali sfoghi all'internet; ché altrimenti passa la voglia e si ritorna da capo.
* Un altro caso singolare è quello dell'ammodernamento linguistico (al solo livello terminologico) di vecchie traduzioni per nuove edizioni di romanzi (a distanza anche di una cinquantina d'anni); a dire, per esempio, l'eliminazione degli orribili "od"; la sostituzione dei trittonghi "iuo" con i dittonghi "io" ("giuoco" "gioco"), eccetera. A proposito di questi lavori, mi sono sempre chiesto se idealmente non ci sarebbe bisogno di un consulente linguistico: è lecito, per dire, presumere che esistano anche in altre lingue termini che nell'arco di 50 anni sono divenuti desueti e da evitare? E come andrebbero resi? Occorrerebbe cercare un "corrispettivo desueto" italiano? E se non esiste? OK, forse sono questioni di lana caprina (leggi: seghe mentali), e che esulano abbondantemente dal post.
Carlo,
aka lo spettatore di provincia
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