La Nota del Traduttore, abusi di un mestiere...

Non amo dare consigli, perché non sono un esperto. Vorrei però esporre la mia opinione su un argomento, la nota del traduttore di cui credo si "abusi".

Non è la nota in sé a essere un male, piuttosto, come nel caso di alcuni tipi di punteggiatura, viene usata in modo scorretto.

Partiamo da una definizione di cosa sia una NdT. Ammettiamolo onestamente: una ndt è principalmente un fallimento.

[Pausa. Avete ripreso a respirare? Bene, proseguiamo.]

Non è necessariamente un fallimento del traduttore, alcuni concetti/idee/termini ecc necessitano di una qualche spiegazione. In molti casi però è la via d'uscita più facile da uno stallo terminologico. Sfortunatamente, a volte, è anche la peggiore.

Escludendo il romanzo, che necessita di una sensibilità linguistica particolare, nel saggio per uscire da una impasse traduttiva si può optare per due scelte:

  1. l'inserimento di un testo esplicativo all'interno del testo stesso
  2. la NdT
Non ci sono dubbi che preferisco la prima: è meno invasiva per il lettore, che non deve spostare lo sguardo; è meno "ego"-istica (il traduttore appare giustamente solo nel colophon :-).

Mi si potrebbe obiettare che, con la prima scelta, attribuisco ad altri parole mie. Non credo sia così, semplicemente, svolgo il mio mestiere: interpreto, il minimo possibile, per un pubblico diverso.
Uso la nota solo nei casi in cui devo/voglio marcare una differenza, per esempio, quando l'autore afferma qualcosa che so essere diversa in Italia.
Anche in questo caso ci penso a lungo, inserendo un "commento" al testo che nella revisione finale sarà trasformato in una NdT o eliminato.

Da lettore, tuttavia, trovo spesso "straniante" l'uso delle note da parte di alcune case editrici. Prendo a esempio la Apogeo (di cui sto leggendo un volume al momento). Come molte altre case editrici specializzate/tecniche fa tradurre i testi a esperti. Chiarisco subito, per onestà, che preferisco il binomio traduttore + esperto.

Non mi lancerò in un'analisi del lavoro altrui, anche per non lasciare il fianco scoperto all'accusa che la critica nasce da un interesse di "corporazione". Non è così. Gli errori in questo mestiere, come in altri, li facciamo tutti.

Diciamo che gli "errori" in questo caso tradiscono un'idea della traduzione diversa dalla mia.

Nei libri Apogeo che ho letto mi sono spesso arrabbiata, come lettrice, per l'uso sconcertante della nota del traduttore.

Ecco una lista di cosa, secondo me, non dovrebbe essere una NdT:

  • Uno sfoggio di cultura personale.
  • "Il concetto era già stato formalizzato alla fine degli anni Ottanta da xxx in xxx nell'ambito della ricerca su xxxx"
  • Un commento personale
  • "Ma anche xxx e molti altri. Il successo di xxx dipende proprio da xxxx"


Le prime due tipologie di note mi fanno sempre commentare a margine su chi stia scrivendo il libro o sulle aspirazioni autoriali del traduttore...cui qualcuno dovrebbe ricordare che questo NON è un suo libro :-)
  • Ego-ismo, il mio ego prima di tutto o anche del facciamo capire che ci siamo ...

E qui non "cito" perché quasi tutte le note del traduttore di questi testi "puzzano" un po' di ego :-) Tutte o quasi, infatti, avrebbero potuto essere inserite nel testo o, meglio, cancellate senza colpo ferire.
In un testo specializzato di informatica cosa serve una nota per spiegare che la Social Security Admin., citata nella didascalia, corrisponde all'INPS??

Non è sempre un bene né necessario interpretare e spiegare.

Ma questa è la mia opinione.

Commenti

Anonimo ha detto…
Concordo con te che non debbano diventare sfoggio di cultura personale del traduttore, e anch'io cerco di usare le ndt il meno possibile, ma in certi casi si rivelano indispensabili. Quindi non le considero in sé una sconfitta (è la tesi di Umberto Eco, "la ndt è una bandiera bianca alzata", tesi che però è stata contestata da molti).

Che mi dici delle ndt introdotte per illustrare l'identità di un personaggio o di un aspetto della cultura del paese d'origine, che richiede una spiegazione troppo lunga per essere inserita nel testo? Per esempio, ultimamente mi è capitato di dover aggiungere ndt in testi di saggistica divulgativa o "leggera":

- biografia di un cantante americano: c'era da spiegare cosa fosse una "altar call" e una "crusade" nella chiesa battista; ho provato a inserirlo nel testo, ma allungavo di due righe e si perdeva tutto il ritmo, molto peggio che con la nota;

- un gioco di parole intraducibile, su cui si imperniava una conversazione intera. Essendo un testo di saggistica, e quindi il resoconto di una storia vera, non potevo inventare un gioco di parole alternativo e cambiare tutto il dialogo;

- in un testo saggistico dal ritmo molto concitato, c'era bisogno di spiegare con chiarezza cos'è la teoria economica del trickle-down;

- traduzione di una lettera personale, all'interno di una biografia, che contiene battute di spirito sul titolo di note canzoni anni 50 (note solo in america però).

- un personaggio che rischia di andare in prigione e "fare la fine di Martha Stewart". In casi del genere, o si toglie del tutto il riferimento, oppure la nota ci vuole. Non posso star lì a interrompere la prosa dell'autore per spiegare in tre righe chi è Martha Stewart.

Insomma: io distinguerei i singoli casi, e non demonizzerei a priori la ndt. Quelle che hai trovato nei libri Apogeo sono note di un traduttore che è esperto della materia e quindi anche curatore. Sono ndr spacciate per ndt. Poi io, personalmente, più note trovo e più sono contenta, perché c'è sempre da imparar qualcosa.

(Tutto ciò ovviamente non vale per i romanzi, dove le note dovrebbero limitarsi a informazioni "di servizio" come "In italiano nel testo" o simili.)
ilaria ha detto…
Sia il tuo post sia la mia brillante omonima analizzano molto bene la questione delle N.d.T., per cui io mi limito a qualche chiacchiera personale.
1) Quando muovevo i primi passi nel mondo delle traduzioni editoriali, ho abusato anch'io delle note. Sinceramente adesso me ne vergogno un po'. Ma ricordo che se allora l'avevo fatto, era più per colmare una lacuna che sentivo "mia" piuttosto che per dar sfoggio di cultura.
2) Le N.d.T, siano queste terminologiche o culturali, in genere non mi danno fastidio, né in narrativa né in manualistica. Però di recente come lettrice sono incappata in una nota su un argomento talmente conosciuto... che mi ha fatto venire una gran rabbia. Però è stato un caso limite.
3) Mi è capitato di dover aggiungere note di carattere culturale che mi sono state trasformate in N.d.R. Per quanto la denominazione sia sostanzialmente esatta, ciò non toglie che il lavoro di ricerca me lo sia smazzata io, che non sono redattrice ma traduttrice. E la prossima volta ve lo fate voi, avrei avuto voglia di rispondere.
4) Per quanto riguarda i problemi puramente terminologici (giochi di parole, ad esempio) io cerco sempre di "tirare" il testo il più possibile come si fa con la pasta, in modo da cavarne fuori qualcosa di plausibile. A volte però, a tirare troppo la pasta si rompe e allora meglio una bella pezza (la nota). Ciao! ;-)))