La questione annosa delle "Tariffe"

Pochi giorni fa sono entrata in un gruppo online sulla traduzione. Sfogliando i post mi sono ritrovata intristita e seccata allo stesso tempo.
Sul gruppo, infatti, c'è un thread dal titolo volutamente provocatorio che affronta - fra le altre cose - il problema "Tariffe". (La maiuscola ormai è d'obbligo.)
L'aspetto che mi ha toccato è proprio il fatto che esiste ancora un problema tariffe. Ma la cosa più sorprendente è che a dieci anni dall'arrivo di internet in Italia la comunicazione online soffra ancora degli stessi problemi degli inizi.
Mi meraviglia che vi siano ancora troll e flame, indice di una cattiva diffusione della formazione informatica ma anche di scarsa abilità a comunicare. (Dice molto naturalmente anche sul grado di aggressività della nostra società...)

In ambito letterario, non in quello tecnico, si pone spesso il problema di come "imporre" un tariffario che permetta guadagni dignitosi.
Devo dire che la questione è, a mio modesto avviso, culturale e quindi di difficile risoluzione immediata.
Negli anni passati si è spesso sentito parlare, fra le comunità online di traduttori, dell'istituzione di un ordine, quasi scambiandolo per un sindacato.

Sono contraria all'istituzione di un ordine, come cittadina e utente, prima ancora che come traduttrice. Gli ordini, così come sono attuati nel nostro paese, hanno rappresentato un danno e un limite serio alla concorrenza (intesa nei suoi aspetti positivi). Non è un caso se i farmaci da noi sono stati mediamente abbastanza più costosi che all'estero o se l'autenticazione di una firma costava 100 mila lire da un notaio e 10 mila in comune.
Da sfatare poi la nozione che un ordine protegga, come ben sanno praticanti avvocati e commercialisti destinati ad almeno due anni di "schiavitù" legale.

Se preferite, pensate ai giornalisti, forse più vicini ai traduttori di un avvocato. Anche loro sono tenuti a una gavetta da fame di anni per entrare fra gli eletti. Nel frattempo sono pagati 2,5 euro (qualcuno 5) al pezzo.

L'idea di un sindacato mi trova più possibilista. Anche in questo caso le difficoltà sono notevoli. Noi siamo lavoratori della conoscenza, non impiegati e questo non è un giudizio di merito. Noi non possiamo bloccare un'azienda, un settore. Almeno non ancora.

Qui entra in gioco la cultura. Dobbiamo trovare un modo di insegnare il rispetto per se stessi. Far capire che lavorando gratis (o quasi gratis) non si danneggiano solo gli altri (perché troveremo sempre qualcuno pronto a dire "chi se ne frega") ma soprattutto noi stessi. Oggi perché si lavora SENZA ottenere nulla in cambio: né denaro, né prospettive, né formazione. Domani perché si sarà danneggiato il lavoratore futuro: perché dovrebbero pagarti se ci sarà qualcuno che, come te ieri, è disposto a lavorare gratis?

Bisogna creare una cultura delle professionalità più ampia che coinvolga colleghi ed editori. Così che in futuro non vi sia alcun traduttore serio disposto a lavorare gratis, né editore serio disposto 1) a non dare qualcosa in cambio di un lavoro 2) ad affidare un lavoro a colleghi come alcuni incontrati negli anni:

  1. che in un lavoro di poche pagine con paragrafi numerati si perdono pezzi;
  2. che non sanno cosa stanno dicendo o facendo (per cui in un cane hair è reso con capelli);
  3. che non rispettano il lavoro che fanno ("quest'autrice è sconosciuta e non vale niente quindi non le dedico troppo tempo...");
  4. che hanno imparato l'inglese in due anni;
Per evitare fraintendimenti, sono cose realmente successe di cui ho già parlato nel blog. Non intendo dire che fare errori non è professionale.

Una soluzione intermedia, mentre costruiamo questa società migliore, è quella di spingere per la creazione di una certificazione almeno a livello europeo (meglio ancora mondiale) che stabilisca un livello sufficiente di competenze (e non si preoccupi di tariffe). Ottenuta questa certificazione potremmo porci in maniera diversa.
Un certo tipo di imprenditore continuerà a proporti di lavorare gratis perché così ti fai conoscere (e devi ringraziarlo). Un editore apprezzerà lo sforzo, la fatica e la competenza che sono stati necessari.

Ma questo è già un mondo migliore.

Commenti

ilaria ha detto…
Hai scritto un post sulle tariffe che tocca anche vari altri punti al momento dolenti della professione e non posso che concordare con te.
I gruppi/forum che parlano di traduzione: spesso ho trovato commenti davvero superficiali, ma il lato positivo è che sono una ricca miniera di spunti per i post di una blogger spesso in panico da mancanza di idee! ;-)
Le tariffe: per quanto la corsa al risparmio stia ormai dilagando dappertutto (fuorché nel superfluo ;-)), le tariffe dell'editoria sono sempre una questione spinosa. E sarò pessimista, ma fintanto che si continuerà a vedere la traduzione editoriale e in particolare quella letteraria come un "onore", come qualcosa che dà prestigio (invece che come una professione punto e basta), dubito che le tariffe lieviteranno.
La cultura della professionalità: come il punto precedente. Mi piacerebbe che il tradurre fosse finalmente visto come una professione, senza aggiungerci o toglierci fronzoli a seconda di quello che si traduce. Mi è difficile capire perché se si traduce Letteratura si diventi automaticamente Traduttori, come se il farlo desse lustro al proprio status socioculturale. E il voler tradurre assolutissimamente solo Alta Letteratura (come dicevi in un precedente post) a me pare acuisca il divario tra t e T.
Anonimo ha detto…
Ciao Ilda,

grazie per il commento. Mi trovi d'accordo, sono un "traduttore". Se mi definisco editoriale è solo per indicare una specializzazione, come altri potrebbero dire t. "medico". Non trovo differenze di principio fra un traduttore tecnico e uno editoriale. Sono due modi diversi (come diversi sono i mezzi di comunicazione) di fare lo stesso lavoro.
Mara
Alliandre ha detto…
Ciao Ilda, Mara, a me piacerebbe che il tradurre fosse finalmente visto da tutti come una professione, punto.
E non un qualcosa fatto così en passant, un riempitivo per casalinghe nullafacenti o studenti in cerca di un posto nel mondo, e retribuito (purtroppo) di conseguenza.
Bisogna educare sia il traduttore che il cliente (editore e non), ma il cliente per primo, le tariffe le fa il mercato ma al mercato bisogna far capire come stanno le cose e non c'è albo né sindacato che lo possa fare al posto nostro.