Barbarità su open and free software

Dopo un periodo piuttosto lungo di ibernazione, ho appena aggiornato la piattaforma di content management che regge il mio sito web. Mi sono accorta così che Luigi ha mantenuto la sua minaccia, parola e ha gentilmente pubblicato un post a proposito della ricerca volontari per eGroupWare.

Sono un po' sorpresa di notare quanta confusione ancora esista intorno all'open source. Ancora di più lo sono dall'incredulità, dal pensare che non esista vita al di fuori dei "benefici per se stessi". Mi sembra sempre che si perda un pezzo di una visione più ampia.

Prima che pensiate che sto esagerando, lasciatemi provare a spiegare. Comincio da open source e free software. Luigi confonde (e mi sembra non poco) le cose, motivo del resto per il quale si preferisce il termine "open source" a quello di "free software". Esiste il software gratuito ma non per questo è free.

Vi cito Richard Stallman, che ho avuto il piacere di ascoltare a Bologna al TPO.

Free as in freedom, non as in free beer.
Il software aperto può essere o meno gratuito, spesso per gli utenti finali lo è. Ma non è questa la sua caratteristica principale: lo è la licenza che permette a tutti di modificare le righe di codice e migliorarle. Questa è la libertà di cui parla Stallman.
L'esempio classico della differenza con il software commerciale è più o meno questo. Se acquestate un'auto e volete personalizzarla (per esempio perché avete un problema motorio) è solo una questione di fondi. Se acquistate un software, solo il CD è vostro. Di fatto è quasi un "inganno" perché in realtà lo noleggiate solamente.
Rispetto a quello che afferma Luigi, il software open non è una questione di funzionalità minori o minori opzioni, caratteristiche dei freeware o shareware (questi sono prodotti commerciali gratuiti o a costo ridotto).

In ogni caso, Linux è un prodotto open, gratuito per gli utenti finali, a volte a pagamento per le aziende. Linus Torvalds non è un semplice appassionato che ora campa grazie alla Linux Foundation che lo mantiene :-). Linus Torvalds è un programmatore, con un lavoro proprio ben prima che la Linux Foundation decidesse di assumerlo perché continuasse a gestire il lavoro a tempo pieno.
Una nota: non mi interessa entrare in polemica. Non voglio farne qui e ora una questione di etica. Sono modelli (anche di business) diversi.

Tornando a me e alla visione di insieme: la mia traduzione ha un committente, anzi due. La comunità italiana in generale e la comunità di persone dell'ente in cui lavoro.

Questo ente, nell'ottica di scegliere il prodotto migliore (x sé), ha deciso di usare eGroupWare. Poiché non esiste una versione italiana del manuale, questo ente ha cercato al suo interno una soluzione. Ne è venuta fuori una soluzione "googleiana": lasciare a una lavoratrice la possibilità di usare un po' del suo tempo per questo progetto.

In questo modo l'ente ha risparmiato:
  1. le royalties sul manuale (è in GPL anche lui)
  2. la spesa di un software
  3. le tante ore di lavoro che si sarebbero perse mentre i dipendenti cercavano di capire come funziona questo programma
Il tutto a un costo irrisorio: il lavoro di una sola dipendente. Inoltre poiché il software e il manuale sono open, anche la traduzione lo è. Ne potranno fare uso gli utenti normali ma anche tante aziende italiane (che infatti ci hanno contattato) e altri enti pubblici.
Mi sembra che queste si chiamino Best Practices.

Per quanto riguarda me, certo un manuale tecnico di queste dimensioni mi avrebbe fatto guadagnare non meno di 2.500 euro. Allora perché?

Perché credo nella condivisione della conoscenza, motivo per cui ho aperto un blog in cui (fuffa a parte) metto a disposizione di altri le mie capacità, il mio modo di lavorare così che altri possano imparare.

Perché credo nella filosofia del software libero.

Perché infine credo di aver risparmiato abbondantemente 2.500 euro grazie a:

  • OpenOffice
  • Gimp
  • Scribus
  • ma anche Cyberduck, TrueCrypt, MySQL (e Apache?)
Su eGroupware e ai commenti su di esso, non vedo così tanto il cliché. Come dicevo, questa traduzione ha un committente, anche se certo non è quello cui sono abituata.
Non vedo poi la gran confusione. Il manuale è tradotto in diverse lingue, il sito solo in parte. Basta questo a confondere?

Sul perché non abbiamo usato direttamente il wiki, rispondo dicendo semplicemente perché non lavoro così. Un traduttore, questo traduttore, lavora di cesello. Non butto giù una traduzione perfetta e brillante (magari!) ma un magma che poi lavoro pazientemente.
Capirete che non è certo la metodologia migliore per lavorare direttamente online. :D

Naturalmente quello che ho espresso qui è un punto di vista, altri sono certo altrettanto validi.

Ciascuno è libero di prestare gratuitamente la propria opera per qualsivoglia iniziativa, ma l'idea che la propria disponibilità possa produrre benefici per altri e non per sé dovrebbe far riflettere.
Si, naturalmente, fa riflettere. Personalmente mi fa pensare di essere una persona disponibile, che nel non pensare sempre e solo a quello che ci guadagnerebbe forse migliora un po'.

(O almeno lasciatemi illudere :D )

Commenti

IMassardo ha detto…
Come ti ho detto privatamente, la tua è una bella risposta, ben articolata. Pensandoci su, mi domando se l'irritazione di LM (che a volte è anche la mia) riguardo le traduzioni gratuite non sia dovuta piuttosto alla tendenza generale di svalutazione del lavoro del traduttore. Ci sono sicuramente progetti open source o d'altro tipo a cui vale la pena partecipare, anche solo per il piacere di farlo (oppure come esperienza, formazione professionale etc...), ma quando colossi come Google, Flickr e Facebook (per menzionarne solo alcuni) fanno ricorso alla cosiddetta "social translation" per i loro lauti guadagni, beh, sinceramente è difficile contenere l'irritazione. E' solo un'interpretazione, non riesco a leggere nell'impenetrabile mente di LM ;-)
Isa
Anonimo ha detto…
Ciao ragazzi,

naturalmente sono d'accordo con Isa. Una cosa è il volontariato, un'altra lo sfruttamento. (Avevo anche pensato di farne un punto del post.)

Quanto a Luigi, tutti abbiamo le nostre idee ed è assolutamente giusto così. Però Luigi, dai, non mi dire che sei veramente imbarazzato :D

Grazie a entrambi per gli spunti.
Buona domenica

Mara
ilaria ha detto…
Sarebbe interessante anche leggere un post sull'idea di traduzione aggratis. Io non sono sicura che sia così diffusa, nemmeno tra i traduttori novelli. Mi spiego: ho la sensazione che per "gratis" si intenda solamente "non remunerato in termini di carta moneta". Non intendo fare l'elogio del baratto (per quanto mi riguarda, onoro ogni soldino come Zio Paperone), ma mi pare che il do ut des traspaia anche là dove si parla di "volontariato". Pesco dalla mia esperienza: un invito a pranzo in cambio di traduzione. Un cestino di fichi appena raccolti in cambio di traduzione. Il proprio nome ben in vista (e una mestolata più o meno scarsa di fama) in cambio di traduzione. E quindi direi che la questione dal "gratis" si sposta piuttosto sul "questo compenso è adeguato?". Come ha fatto notare Isabella, se qualcuno lucra gettando poi al "volontario" frammenti di briciole, beh, vien da dire che no, non lo è.
Ok, ho gettato il sasso e adesso nascondo la mano. A miglior blogger il compito di dar forma a questo impasto non ancora ben modellato! ;)))
Anonimo ha detto…
Ho avuto occasione di incappare in questa discussione. Innanzitutto vorrei far notare che l'atto gratuito non è per forza legato allo sfruttamento, ma può essere (e lo è) legato alla sola e semplice passione. Perché uno dovrebbe fare qualcosa gratuitamente? Così facendo rovina l'impegno di chi opera nello stesso campo per lavoro?

I punti fondamentali sono questi due. Alla prima domanda non v'è risposta... ciascuno deve provvedere da sé. Cosa spinga a fare volontariato, a scrivere o a compiere un qualunque atto senza chiedere nulla in cambio è qualcosa di assolutamente personale e indefinibile a priori. Chiedersi il motivo di tutto ciò (tranne casi ove vi sia davvero un interesse malcelato alle spalle) sarebbe come chiedersi perché viviamo di passioni.

Alla seconda domanda invece una risposta c'è, ed è no. Io ho provato (e provo tuttora) sulla mia pelle la distinzione tra sfera amatoriale (quella che possiamo definire gratuita e appassionata) e sfera ufficiale (quella lavorativa). Chi confonde i due aspetti non considera secondo me le profonde differenze che separano questi due modi di intendere un lavoro, un impegno, e probabilmente finirà per incappare in uno sgambetto che gli capovolgerà il punto di vista.

Certo, ci sarà sempre chi si approfitterà degli inesperti che pur di cercare di elevarsi saranno disposti a tutto, o quasi... ma questo fa parte del mondo del lavoro e comunque il professionista saprà sempre distinguersi (ammesso che lo sia, ovviamente). Se davvero dovesse accadere il contrario, allora significa semplicemente che dovremmo riconsiderare questo mestiere, così come nella storia ne sono stati riconsiderati molti altri. Difficilmente capiterà oggi... ma chissà cosa ci riserva il futuro, soprattutto dal punto di vista della "machine translation", più che della "social".